venerdì 25 ottobre 2013

Post leggeri

Una di quelle piccole cose che se ancora avessi Diario di Bordo sarei stato felicissimo di scrivere.

Avevo appena lasciato il motorino al negozio (per fortuna il tempo aveva retto), quando si è messo a piovere all’improvviso. La pioggia sembrava aumentare e diminuire all’improvviso, non capivo se avesse intenzione di spiovere o di fare il diluvio. Nel dubbio mi sono incamminato, anche perché non è da me rimanere riparato per un po’ di pioggia: io sono uno che se deve andare da una parte ci va diretto, senza pensare troppo agli ostacoli. Sto tornando a casa e si mette a piovere? Oh, cavolo, mi rode il culo, mi bagnerò, ma in ogni caso a casa ci devo andare, no? Pioggia o non. Quindi mi incammino sotto la pioggia e basta, pazienza. E così ho fatto.
Per cercare di limitare i danni passavo sotto le cappotte dei negozi, in modo che, se anche ad intervalli irregolari, qualche volta al coperto almeno ci sarei stato. Poi ha improvvisamente cominciato a piovere più forte, ed ho fatto una cosa che mai avevo fatto: tornare indietro, ripararmi sotto una cappotta, ed aspettare che spiovesse. Non so perché, come ho già detto prima non è da me, ma è ciò che ho fatto. Ero di umore molto particolare, ottimo. Ero appena stato motivato sul mio futuro ed avevo la determinazione a mille. Uno di quei momenti in cui sai che potresti fare di tutto. E la musica non era da meno. Non vedevo l’ora di tornare a casa per scrivere un post al riguardo. All’improvviso, a fronte della nuova situazione, avevo contemporaneamente trovato sia una giustificazione valida al il mio gesto, sia un modo per racchiudere tutta quella determinazione in un post rapido ed efficace: “Stasera sono così determinato che nemmeno alla pioggia permetto di mettermi i piedi in testa” avrei scritto. Mi ha sfiorato la testa anche una specie di “Un uomo come me non si fa bagnare dalla pioggia”, ma sembrava incredibilmente presuntuoso ed aristocratico.
Dunque sono rimasto lì, in attesa. Tanto che dovevo fare? Finalmente potevo perdere un po’ di tempo. Avrei potuto fare un salto in pizzeria per ingannare l’attesa, stavo vicino, ma poi avrei perso tutta la magia di quella determinazione: mi sentivo talmente bene in quel momento che non volevo cambiamenti o distrazioni. E così me ne sono rimasto da solo con me stesso, con la mia musica, con il mio canto, sotto la cappotta della via deserta. L’acqua si accumulava sopra la cappotta e poi colava giù dai bordi in quattro o cinque punti diversi. Inizialmente a gocciooni che cadevano regolarmente ad intermittenza, poi con un flusso continuo ma sottile. Avevo cominciato anche a giocarci, per noia. Mettevo la mano proprio lì sotto (non mi importava di bagnarmi!), e vedevo le gocce infrangersi sul mio palmo aperto e creare dei bellissimi schizzi d’acqua concentrici. Mi fa piacere ogni tanto scoprire di essere ancora in grado di divertirmi con cose semplici, come ad esempio giocare così con l’acqua. Erano anche belle da vedere le varie righe di pioggia che accanto all’alone del lampione acceso si facevano più nitide. Si stava quasi bene, lì.
La pioggia non accennava a diminuire. Anzi, sembrava aumentare sempre di più. Si era trasformato improvvisamente in un violento acquazzone. L’acqua cadeva ora violentemente sull’asfalto, ed il rumore aveva cominciato a sentirsi nonostante le cuffiette. Che fare? Sbrigarsi ad andare? Aspettare ancora? Non sembrava avesse intenzione di spiovere. La situazione intanto si faceva sempre più critica. La via era in discesa, e si stava formando un fiumiciattolo d’acqua che scorreva giù: cominciavo a sentirmi l’acqua nelle scarpe. Si sentiva anche puzza di fogna nell’area, probabilmente queste erano straripate. E la cappotta stava cominciando a cedere: aveva cominciato a gocciolare anche all’interno, sempre di più, alle volte anche facendo ampie spruzzate. A momenti non sarebbe più stato un luogo sicuro, già cominciavo a bagnarmi. A quanto pareva mi sarei dovuto arrendere alla pioggia e permetterle di mettermi i piedi in testa. Forse ero stato un po’ troppo incauto nello sfidarla. Mi sarei fradiciato dalla testa ai piedi però: non avevo né un ombrello né tantomeno un cappuccio. E nello zaino della palestra avevo cose che volevo evitare che si bagnassero. Ho cominciato a pensare a cosa potessi sfruttare, della roba presente al suo interno, ma erano per lo più panni sudati. A meno che… si, era l’unica! Spalmato contro la vetrina del negozio per evitare l’acqua filtrante, ho tirato fuori l’accappatoio dallo zaino. Me lo sono agganciato addosso appendendomi il cappuccio in testa, l’ho fatto passare sopra allo zaino alle mie spalle per proteggerlo, ed ho abbandonato la cappotta un attimo prima che perdesse la sua utilità. Così me ne sono tornato a casa con un accappatoio blu avvolto tipo mantello, con Anzio così allagata che le scarpe affondavano nell’acqua e la gente che da dentro i ristoranti mi guardava strano. Ed è stato divertente.

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