Una di quelle piccole cose che se ancora avessi Diario di
Bordo sarei stato felicissimo di scrivere.
Avevo appena lasciato il motorino al negozio (per fortuna il
tempo aveva retto), quando si è messo a piovere all’improvviso. La pioggia
sembrava aumentare e diminuire all’improvviso, non capivo se avesse intenzione
di spiovere o di fare il diluvio. Nel dubbio mi sono incamminato, anche perché non
è da me rimanere riparato per un po’ di pioggia: io sono uno che se deve andare
da una parte ci va diretto, senza pensare troppo agli ostacoli. Sto tornando a
casa e si mette a piovere? Oh, cavolo, mi rode il culo, mi bagnerò, ma in ogni
caso a casa ci devo andare, no? Pioggia o non. Quindi mi incammino sotto la
pioggia e basta, pazienza. E così ho fatto.
Per cercare di limitare i danni passavo sotto le cappotte
dei negozi, in modo che, se anche ad intervalli irregolari, qualche volta al
coperto almeno ci sarei stato. Poi ha improvvisamente cominciato a piovere più
forte, ed ho fatto una cosa che mai avevo fatto: tornare indietro, ripararmi
sotto una cappotta, ed aspettare che spiovesse. Non so perché, come ho già
detto prima non è da me, ma è ciò che ho fatto. Ero di umore molto particolare,
ottimo. Ero appena stato motivato sul mio futuro ed avevo la determinazione a
mille. Uno di quei momenti in cui sai che potresti fare di tutto. E la musica
non era da meno. Non vedevo l’ora di tornare a casa per scrivere un post al
riguardo. All’improvviso, a fronte della nuova situazione, avevo contemporaneamente
trovato sia una giustificazione valida al il mio gesto, sia un modo per
racchiudere tutta quella determinazione in un post rapido ed efficace: “Stasera
sono così determinato che nemmeno alla pioggia permetto di mettermi i piedi in
testa” avrei scritto. Mi ha sfiorato la testa anche una specie di “Un uomo come
me non si fa bagnare dalla pioggia”, ma sembrava incredibilmente presuntuoso ed
aristocratico.
Dunque sono rimasto lì, in attesa. Tanto che dovevo fare?
Finalmente potevo perdere un po’ di tempo. Avrei potuto fare un salto in
pizzeria per ingannare l’attesa, stavo vicino, ma poi avrei perso tutta la
magia di quella determinazione: mi sentivo talmente bene in quel momento che
non volevo cambiamenti o distrazioni. E così me ne sono rimasto da solo con me
stesso, con la mia musica, con il mio canto, sotto la cappotta della via
deserta. L’acqua si accumulava sopra la cappotta e poi colava giù dai bordi in
quattro o cinque punti diversi. Inizialmente a gocciooni che cadevano
regolarmente ad intermittenza, poi con un flusso continuo ma sottile. Avevo cominciato
anche a giocarci, per noia. Mettevo la mano proprio lì sotto (non mi importava
di bagnarmi!), e vedevo le gocce infrangersi sul mio palmo aperto e creare dei
bellissimi schizzi d’acqua concentrici. Mi fa piacere ogni tanto scoprire di
essere ancora in grado di divertirmi con cose semplici, come ad esempio giocare
così con l’acqua. Erano anche belle da vedere le varie righe di pioggia che
accanto all’alone del lampione acceso si facevano più nitide. Si stava quasi
bene, lì.
La pioggia non accennava a diminuire. Anzi, sembrava
aumentare sempre di più. Si era trasformato improvvisamente in un violento
acquazzone. L’acqua cadeva ora violentemente sull’asfalto, ed il rumore aveva
cominciato a sentirsi nonostante le cuffiette. Che fare? Sbrigarsi ad andare?
Aspettare ancora? Non sembrava avesse intenzione di spiovere. La situazione
intanto si faceva sempre più critica. La via era in discesa, e si stava
formando un fiumiciattolo d’acqua che scorreva giù: cominciavo a sentirmi l’acqua
nelle scarpe. Si sentiva anche puzza di fogna nell’area, probabilmente queste
erano straripate. E la cappotta stava cominciando a cedere: aveva cominciato a
gocciolare anche all’interno, sempre di più, alle volte anche facendo ampie
spruzzate. A momenti non sarebbe più stato un luogo sicuro, già cominciavo a
bagnarmi. A quanto pareva mi sarei dovuto arrendere alla pioggia e permetterle
di mettermi i piedi in testa. Forse ero stato un po’ troppo incauto nello
sfidarla. Mi sarei fradiciato dalla testa ai piedi però: non avevo né un
ombrello né tantomeno un cappuccio. E nello zaino della palestra avevo cose che
volevo evitare che si bagnassero. Ho cominciato a pensare a cosa potessi
sfruttare, della roba presente al suo interno, ma erano per lo più panni
sudati. A meno che… si, era l’unica! Spalmato contro la vetrina del negozio per
evitare l’acqua filtrante, ho tirato fuori l’accappatoio dallo zaino. Me lo
sono agganciato addosso appendendomi il cappuccio in testa, l’ho fatto passare
sopra allo zaino alle mie spalle per proteggerlo, ed ho abbandonato la cappotta
un attimo prima che perdesse la sua utilità. Così me ne sono tornato a casa con
un accappatoio blu avvolto tipo mantello, con Anzio così allagata che le scarpe
affondavano nell’acqua e la gente che da dentro i ristoranti mi guardava strano.
Ed è stato divertente.