«Un euro e trenta».
Pagai. Niente era più bello che addentare un bel cornetto caldo
straripante di nutella e buttare l’occhio sul culo di qualche bella pataccona
prima di mettersi in viaggio verso la discoteca. Certo, era una bomba di
calorie, ma con il mio fisico perfetto ed invidiabile non avevo nulla da
temere: lunedì sarebbe iniziata una nuova settimana di palestra, ed avrei
delineato ancora di più la mia tartaruga sull’addome. E poi stavamo per andare
a farci una bella sudata (a Latina di sabato le discoteche erano sempre piene),
dunque avrei bruciato tutto. Magari ci sarebbe scappata anche una bella
trombata veloce nei bagni con qualche mignottona strafatta (avevo sfoderato il
kit di giacca, cinta e scarpe fosforescenti, non so se mi spiego), ed allora si
che mi sarei rimesso subito in forma!
Quel coglione di Andrea stava ancora decidendo quale
pacchetto di gomme comprarsi. Sembrava stesse confrontando il prezzo di due
diverse marche tenendo in conto anche il numero di gomme all’interno. Ma di
matematica non ci aveva mai capito nulla: per questo stava lì senza riuscire ad
uscirne.
«Dai bro, ma che cazzo te frega! Pija quelle che costano de
meno e annamo, dai!».
Nel frattempo stavo guardando una figa pazzesca. Era in
piedi da sola vicino alla colonna, sembrava stesse aspettando qualcuno. Alta,
tacco vertiginoso, capelli neri arruffati con una ciocca che le cadeva sul
viso, sguardo provocatorio. Una faccia da bocchinara che non vi dico! E aveva quel
vestitino blu elettrico così corto che le copriva a malapena il culo. Mentre
aspettavo Andrea non riuscito a staccarle gli occhi da dosso. Avrei potuto
prenderla di forza, sdraiarla sul bancone del bar e distruggerla violentemente
lì davanti a tutti, per quanto ero eccitato. Ed ero sicuro che le sarebbe pure
piaciuto. Stavo per andare ad attaccare bottone usando qualche scusa, quando mi
raggiunse Andrea. Quindi siamo usciti, ma passando per i tavolini mi sono
fermato a salutare degli amici che stavano entrando. Al bar del porto è
impossibile non incontrare qualcuno il fine settimana. Era un amico del
Campanella. Non sapevo nemmeno come si chiamasse, ma quella volta che era
partita la rissa al borgo per il derby della Roma era intervenuto al mio fianco
insieme al Campanella, e da quel giorno ci eravamo sempre salutati. Girava voce
che bazzicasse sempre nei pressi di Ostia perché gli piaceva farsi fare i
bocchini dai trans. «Come te li sanno fare loro non te li fa nessun’altro,
proprio perché hanno il cazzo e quindi sanno dove ti piace!» era la sua buffa
teoria, ce la raccontava una volta il Campanella da ubriaco. A me quelle
porcate da froci di merda non mi piacevano, preferivo di gran lunga rimorchiare
la sera per una botta e via. Tanto qualcuna si trovava sempre.
Saliti in macchina, Andrea ha messo subito il cd che aveva fatto
per la serata: una bomba! Eravamo partiti da qualche secondo, quando vedo un
tizio che camminava sul ciglio della strada in direzione opposta alla nostra
farmi segno con la mano. Aveva alzato lateralmente il braccio ed aveva messo la
mano a forma di C, e la chiudeva e la riapriva proprio come quando ci si
diverte a fare le ombre cinesi sul muro a forma di cane. Sembrava ce l’avesse
con me. Avrà avuto un paio di anni in meno di noi, ma andava in giro con una
cartella sulle spalle, come quella di scuola. Ma chi ci andava più in giro con
quella roba? Poi la portava con entrambi i braccioli sulle spalle, come i
soggetti. Ho fatto giusto in tempo a rallentare un pochino, e quando ci siamo passati
accanto mi sono girato a fissarlo per vedere che cazzo volesse. Ma non ha detto
nulla, ha solo ricambiato lo sguardo, ed in un attimo ci siamo oltrepassati.
«Hai visto quello?» ho fatto ad Andrea.
«Eh! Ma che cazzo voleva?».
«Boh, ma quando ci siamo passati vicino l’ho imbruttito!»
«Ahahah, hai fatto bene! Che coglione!».
Quindi ho alzato la musica a palla ed ho messo un braccio
fuori dal finestrino, agitandolo a tempo di musica come facevamo sempre. Un
attimo dopo è partita la seconda traccia. Questa spaccava di brutto, era
potentissima! Mi stavo caricando, sentivo l’adrenalina crescere sempre di più,
ed ho cominciato a fare il matto con la macchina, mentre Andrea accanto a me
urlava «Dajeeeeeee!» e mi caricava ancora di più. È stato in quel momento. Ho
visto una macchina che stava per tagliarci la strada. Non ho rallentato: era
impossibile che non ci avesse visto, di sicuro stava per fermarsi e lasciarmi
passare. Quello che era sicuro è che non mi sarei fermato io: era lui che
avrebbe dovuto darmi la precedenza, e poi io ormai ero inarrestabile. Ma non si
è fermato, ed in un baleno l’ho visto venirmi addosso. Ho avuto a malapena il
tempo di rendermene conto, è durato un istante. Ho sentito la macchina sotto di
me schizzare improvvisamente all’indietro, i vetri del parabrezza tagliarmi la
faccia in più punti. Poi ho improvvisamente sentito la sensazione di vuoto, ed
infine un fortissimo impatto alla nuca. Non ha fatto male, non ho sentito
nessun dolore. Ma ho sentito il rumore dell’impatto rimbombarmi profondamente
dentro la testa, ed improvvisamente si è fatto tutto nero.
Credo di aver sognato, non ne sono sicuro. Non mi sentivo
come quando si è addormentati, ma ho provato una sensazione di vuoto assoluto
per un infinità di tempo. Il mio corpo non poggiava contro nulla, come se non
avessi più sensibilità, sembrava di essere sospeso nel vuoto. E non c’era
niente. Per qualche motivo avevo gli occhi chiusi, ma riuscivo a percepire il
vuoto intorno a me. E la mia mente era intorpidita, non mi permetteva ne di
muovermi ne di pensare. Era come se volesse farmi rimanere lì a dormire,
cullandomi. L’unica cosa che percepivo era il mio corpo, ma era fatto di una
strana sostanza, sembrava denso, fluido. Ed era bello, era una sensazione
rilassante, mi sentivo in pace. Non so quanto tempo era passato quando ho
cominciato a sentire delle voci esterne ed a “risvegliami”. Inizialmente era
solo caos, rimbombava tutto, poi ho cominciato a distinguere voci. Continuavo a
sentirmi sospeso nel vuoto e così incredibilmente fluido, era una sensazione
stranissima, ma poco a poco stavo tornando nella realtà. Ho provato ad aprire
gli occhi, ma solo uno dei due ha reagito al comando. Ma è bastato poco per
capirne il motivo. Da quel poco che riuscivo a vedere sembrava che fossi sdraiato
a terra, con una guancia che premeva contro l’asfalto. Mi ricordai
improvvisamente dell’incidente, di come fossi finito lì. Quindi la seconda cosa
che mi saltò allo sguardo fu la grandissima pozza nera nella quale vedevo immerso
il mio braccio inerme. Doveva essere sangue. Ecco perché mi sentivo così
fluido, stavo colando al di fuori del mio stesso corpo. La successiva capacità
che riacquistai fu la sensibilità della temperatura. Sentii improvvisamente il
freddo gelido della notte. Ma in particolare sulla nuca, dove sembrava
attraversarmi fino ad entrarmi dentro. Probabilmente il mio cranio non era più
un involucro chiuso. Per fortuna non avevo recuperato il tatto, e tantomeno la
percezione del dolore. Nemmeno più le emozioni sembravo in grado di percepire:
non provavo paura, non provavo dispiacere, ero completamente apatico ed
indifferente. Per ultimo, ricominciai a distinguere i suoni delle voci. Ero
sicuramente circondato da molte persone, ma non riconoscevo la voce di nessuno
che conoscessi. Qualcuno diceva di prendere i documenti, qualcun altro invece
gridava di non toccarmi e di aspettare l’arrivo dei soccorsi. Poi distinsi una
voce terrorizzata che non faceva altro che ripetere le stesse frasi
freneticamente. La fonte del suono si spostava di continuo, quindi lo
immaginavo muoversi avanti ed indietro. «O mio dio... o mio dio… giravano a
luci spente… non li ho visti… o mio dio…». Le luci? Era stato per quello?
Possibile che fossi stato così stupido da dimenticarmi di accenderle? Poi mi
tornò in mente un dettaglio inutile: il ragazzo sul ciglio della strada che mi
aveva fatto quel segno ad intermittenza con la mano. Ora era tutto chiaro: mi
stava dicendo di accendere le luci. Chissà se pure Andrea se lo stava
chiedendo, in quel caso avrei dovuto dirglielo. Soddisfatto di esseri
finalmente tolto quella curiosità, mi venne da sorridere. E quella fu l’ultima
cosa che riuscii a comprendere. Qualche istante dopo morii.